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IL VANGELO DEL GIORNO

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Dal Vangelo secondo Luca Lc 8,1-3 In quel tempo, Gesù se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C'erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni. Commento di Don Luigi Maria Epicoco: ll breve Vangelo di Luca che oggi leggiamo ci dice una cosa di cui noi per evidenza dovremmo accorgerci senza nessuna fatica: la predicazione di Cristo non ha solo un seguito maschile, ma ha anche un seguito femminile: “C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità:Maria di Màgdala, dalla quale erano usciti sette demòni, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni”. Le nostre comunità sono popolate da una maggioranza femminile e questa cosa non deve meravigliarci. Non dobbiamo farne un problema di genere, ma dobbiamo solo rinfrancarci da un maschilismo tossico che però non può essere vinto con un femminismo altrettanto tossico. Tra i discepoli ci sono anche queste donne, e non vanno considerate “donne di servizio”, ma donne che rendono possibile la missione di Gesù perché mettono a disposizione i loro beni. Non dobbiamo però pensare alle semplici cose materiali. Delle volte un bene a disposizione potrebbe essere un po’ del nostro tempo, un po’ del nostro ascolto, un po’ della nostra compagnia, insomma un po’ del nostro possibile. Queste donne sono l’icona di cosa sia il servizio perché non chiedono visibilità, ma danno visibilità all’unica cosa che conta: Cristo.
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Dal Vangelo secondo Luca Lc 7,36-50 In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!». Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciar- mi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!». Commento di Don Luigi Maria Epicoco: La cena a casa di Simone il fariseo dà a Gesù l’occasione di mostrare in maniera plastica in che cosa consiste realmente l’amore di Dio. Una donna, una poco di buono, si era insinuata in questo banchetto “e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato”. Ovviamente il gesto è interpretato subito come equivoco, ma Gesù conosce le vere intenzioni di quella donna e cerca di spiegarle al padrone di casa attraverso una parabola. In sostanza la questione è molto semplice: chi è che ama di più, chi ha sperimentato il perdono o chi ha passato la vita a tentare di primeggiare sempre sugli altri? «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non m'hai dato l'acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi. Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco». Credo che sia proprio questa pagina del Vangelo che ci ha insegnato che ci sono due modi di fare il male: farlo direttamente oppure omettere di fare il bene possibile. Simone il fariseo forse ha passato la vita cercando di evitare di fare il male, ma nessuno gli aveva mai insegnato a fare del bene. I cristiani non temono il male, anche quando ne sono protagonisti, perché sanno che un vero pentimento conduce a un vero perdono. Ma i cristiani sanno che devono temere i peccati di omissione, perché sono occasioni di bene perdute, atti di tenerezza che hanno il potere di salvarci la vita. Ecco perchè invece di passare la vita a rimpiangere i nostri errori passati facciamo come questa donna, amiamo di più, amiamo adesso, amiamo come possiamo.
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Dal Vangelo secondo Luca Lc 7,1-10 In quel tempo, Gesù, quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto, entrò in Cafàrnao. Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza: «Egli merita che tu gli conceda quello che chiede – dicevano –, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga». Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa». All’udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito. Commento di Don Luigi Maria Epicoco: C’è un passaparola straordinario nel Vangelo di oggi. Un povero servo sta male, il centurione romano nella cui casa presta servizio non lo tratta come un oggetto da sostituire una volta rotto. Non sa più cosa fare, e comincia a fare l’unica cosa interessante che possa fare una persona che si accorge della propria incapacità: chiede aiuto. Lo fa in modo strano, perché chiede a chi ha fede di pregare, di intercedere, di raccontare a Gesù il suo dramma, il suo dolore, la sua richiesta. Non sappiamo se non si sente degno di formulare direttamente quella domanda, o semplicemente non ha neppure la fede per poterla formulare in prima persona, ma sta di fatto che pur di non perdere quel servo amato, è disposto a tutto. Quest’uomo è già un miracolo, e Gesù lo dirà alla fine del racconto. Chi ama così, mostra già con la propria umanità la fede che Gesù va predicando. Ma la parte più interessante della storia viene fuori quando Gesù accordando il suo intervento decide di andare a casa di quel centurione romano a guarire il suo servo. Proprio a questo punto è lo stesso centurione che glielo impedisce: “Signore, non stare a disturbarti, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te, ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito”. Tradotto significa “mi fido tanto di te che non ho bisogno che mi dimostri nulla perché so che non lascerai inascoltata la mia preghiera sincera”. Chissà se tutte le volte che preghiamo abbiamo la stessa fede di questo centurione oppure siamo sempre bisognosi che Dio ci dimostri di aver ascoltato in qualche modo la nostra supplica. Ma avere fede non significa chiedere prove ma fidarsi soprattutto in assenza di esse. “«Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito”.
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Dal Vangelo secondo Marco Mc 8,27-33 In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Commento di Don Luigi Maria Epicoco: 𝐂𝐨𝐬𝐚 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐚 𝐥𝐚 𝐠𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐝𝐢 𝐦𝐞? - Che sei una brava persona, maestro! - 𝐄 𝐯𝐨𝐢 𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐚𝐭𝐞 𝐝𝐢 𝐦𝐞? - Che sei molto più di una brava persona. Tu sei il motivo per cui la vita vale la pena. - 𝐁𝐫𝐚𝐯𝐨 𝐏𝐢𝐞𝐭𝐫𝐨! 𝐌𝐚 𝐚 𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐬𝐞𝐫𝐯𝐞 𝐮𝐧 𝐦𝐨𝐭𝐢𝐯𝐨? - Non lo so mio Signore - 𝐀 𝐩𝐨𝐭𝐞𝐫 𝐚𝐟𝐟𝐫𝐨𝐧𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐨, 𝐥𝐞 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐚𝐝𝐝𝐢𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐯𝐢𝐭𝐚, 𝐢 𝐟𝐚𝐥𝐥𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐢 𝐞 𝐩𝐞𝐫𝐬𝐢𝐧𝐨 𝐥𝐚 𝐦𝐨𝐫𝐭𝐞. 𝐒𝐞 𝐡𝐚𝐢 𝐮𝐧 𝐦𝐨𝐭𝐢𝐯𝐨 𝐩𝐮𝐨𝐢 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐦𝐨𝐫𝐢𝐫𝐞 𝐜𝐨𝐬𝐢̀ 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐟𝐚𝐫𝐨̀ 𝐢𝐨 𝐚 𝐆𝐞𝐫𝐮𝐬𝐚𝐥𝐞𝐦𝐦𝐞. - No Signore! Non fare più questi discorsi! Niente contraddizioni, fallimenti e neppure la morte. Non parlare più di cose così, continua solo a fare miracoli, a incoraggiare la gente e inventare parabole. - 𝐏𝐢𝐞𝐭𝐫𝐨 𝐭𝐨𝐫𝐧𝐚 𝐚 𝐜𝐚𝐦𝐦𝐢𝐧𝐚𝐫𝐞 𝐝𝐢𝐞𝐭𝐫𝐨 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐭𝐢 𝐡𝐨 𝐢𝐧𝐬𝐞𝐠𝐧𝐚𝐭𝐨 𝐢𝐨 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐞̀ 𝐒𝐚𝐭𝐚𝐧𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐫𝐚𝐠𝐢𝐨𝐧𝐚 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐫𝐚𝐠𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐭𝐮! 𝐒𝐞 𝐡𝐚𝐢 𝐮𝐧 𝐦𝐨𝐭𝐢𝐯𝐨 𝐩𝐮𝐨𝐢 𝐟𝐚𝐫𝐞 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐨! 𝐌𝐚 𝐬𝐞 𝐡𝐚𝐢 𝐚𝐧𝐜𝐨𝐫𝐚 𝐩𝐚𝐮𝐫𝐚 𝐝𝐢 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐥𝐚 𝐯𝐢𝐭𝐚 𝐩𝐮𝐨̀ 𝐫𝐢𝐬𝐞𝐫𝐯𝐚𝐫𝐭𝐢 𝐚𝐥𝐥𝐨𝐫𝐚 𝐨 𝐧𝐨𝐧 𝐡𝐚𝐢 𝐭𝐫𝐨𝐯𝐚𝐭𝐨 𝐮𝐧 𝐦𝐨𝐭𝐢𝐯𝐨 𝐨 𝐧𝐨𝐧 𝐜𝐢 𝐜𝐫𝐞𝐝𝐢 𝐯𝐞𝐫𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞. - Ma Signore come si può credere quando la vita va a rotoli? Come si può credere davanti al dolore innocente? Come si può credere quando perdi tutto? - 𝐏𝐢𝐞𝐭𝐫𝐨, 𝐭𝐮 𝐜𝐫𝐞𝐝𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐢𝐨 𝐭𝐢 𝐚𝐦𝐨? - Si Signore! - 𝐄 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐞 𝐨𝐠𝐠𝐢 𝐬𝐮𝐜𝐜𝐞𝐝𝐞𝐬𝐬𝐞 𝐮𝐧𝐚 𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐛𝐫𝐮𝐭𝐭𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐢𝐧𝐮𝐞𝐫𝐞𝐬𝐭𝐢 𝐚 𝐜𝐫𝐞𝐝𝐞𝐫𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐭𝐢 𝐚𝐦𝐨? - Si Signore! - 𝐄 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐟𝐚𝐜𝐞𝐬𝐬𝐢 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐦𝐢𝐫𝐚𝐜𝐨𝐥𝐢? - Si Signore! - 𝐄 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐞 𝐦𝐞 𝐧𝐞 𝐚𝐧𝐝𝐚𝐬𝐬𝐢? - Non te ne andare Signore… - 𝐏𝐢𝐞𝐭𝐫𝐨 𝐝𝐞𝐯𝐢 𝐟𝐢𝐝𝐚𝐫𝐭𝐢 𝐝𝐢 𝐦𝐞! 𝐀𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐞 𝐦𝐢 𝐮𝐜𝐜𝐢𝐝𝐞𝐫𝐚𝐧𝐧𝐨 𝐧𝐨𝐧 𝐬𝐦𝐞𝐭𝐭𝐞𝐫𝐨̀ 𝐦𝐚𝐢 𝐝𝐢 𝐚𝐦𝐚𝐫𝐭𝐢! - Ma facciamo che non ti uccidono! - 𝐍𝐨𝐧 𝐝𝐞𝐯𝐢 𝐭𝐞𝐦𝐞𝐫𝐞 𝐥𝐚 𝐦𝐢𝐚 𝐦𝐨𝐫𝐭𝐞, 𝐝𝐞𝐯𝐢 𝐭𝐞𝐦𝐞𝐫𝐞 𝐬𝐞 𝐬𝐦𝐞𝐭𝐭𝐢 𝐝𝐢 𝐜𝐫𝐞𝐝𝐞𝐫𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐭𝐢 𝐚𝐦𝐨 - Ma certo che credo che mi ami! - 𝐀𝐥𝐥𝐨𝐫𝐚 𝐬𝐞 𝐜𝐢 𝐜𝐫𝐞𝐝𝐢 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐭𝐢 𝐩𝐫𝐞𝐨𝐜𝐜𝐮𝐩𝐢? 𝐍𝐨𝐧 𝐬𝐚𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐥𝐚 𝐦𝐨𝐫𝐭𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐩𝐮𝐨̀ 𝐧𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨 𝐥’𝐚𝐦𝐨𝐫𝐞? 𝐏𝐞𝐫 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐥𝐨 𝐝𝐢𝐜𝐨 𝐚 𝐭𝐞 𝐞 𝐥𝐨 𝐝𝐢𝐜𝐨 𝐚 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐢: «𝐒𝐞 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐜𝐮𝐧𝐨 𝐯𝐮𝐨𝐥 𝐯𝐞𝐧𝐢𝐫𝐞 𝐝𝐢𝐞𝐭𝐫𝐨 𝐚 𝐦𝐞, 𝐫𝐢𝐧𝐧𝐞𝐠𝐡𝐢 𝐬𝐞 𝐬𝐭𝐞𝐬𝐬𝐨, 𝐫𝐢𝐧𝐧𝐞𝐠𝐡𝐢 𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐩𝐚𝐮𝐫𝐚, 𝐧𝐨𝐧 𝐠𝐥𝐢 𝐜𝐫𝐞𝐝𝐚! 𝐏𝐫𝐞𝐧𝐝𝐚 𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐜𝐫𝐨𝐜𝐞, 𝐜𝐢𝐨𝐞̀ 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐠𝐥𝐢 𝐯𝐢𝐞𝐧𝐞 𝐜𝐡𝐢𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐯𝐢𝐯𝐞𝐫𝐞 𝐨𝐫𝐚 𝐢𝐧 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐦𝐨𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨, 𝐝𝐢 𝐛𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐨 𝐝𝐢 𝐛𝐫𝐮𝐭𝐭𝐨 𝐞 𝐦𝐢 𝐬𝐞𝐠𝐮𝐚.
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𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐜𝐡𝐢 𝐯𝐮𝐨𝐥𝐞 𝐬𝐚𝐥𝐯𝐚𝐫𝐞 𝐥𝐚 𝐩𝐫𝐨𝐩𝐫𝐢𝐚 𝐯𝐢𝐭𝐚, 𝐥𝐚 𝐩𝐞𝐫𝐝𝐞𝐫𝐚̀; 𝐦𝐚 𝐜𝐡𝐢 𝐩𝐞𝐫𝐝𝐞𝐫𝐚̀ 𝐥𝐚 𝐩𝐫𝐨𝐩𝐫𝐢𝐚 𝐯𝐢𝐭𝐚 𝐩𝐞𝐫 𝐜𝐚𝐮𝐬𝐚 𝐦𝐢𝐚 𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐕𝐚𝐧𝐠𝐞𝐥𝐨, la salverà "
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Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 3,13-17 In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui». Commento di don Luigi Maria Epicoco: Cosa ci ricorda la festa dell’Esaltazione della Santa Croce? Non certo a esaltare il dolore o a battezzarlo. La Croce è una dichiarazione d’amore e non un modo per colpevolizzarci: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”. Le parole del vangelo sembrano volerci dire: quando vedi Gesù che accetta di stendere le sue braccia sulla croce, allora ricordati quanto sei amato, quanto è stato disposto lui a fare per te, quanto sei prezioso ai suoi occhi! La memoria di questo amore dovrebbe togliere da ciascuno di noi ogni tentazione di svalutarci, disprezzarci, guardarci male. Se qualcuno ti ama significa che c’è qualcosa di buono dentro di te anche quando tu non la vedi. Gesù muore in croce affinché ciascuno di noi cominci a credere a ciò che normalmente non si vede: siamo un tesoro prezioso agli occhi di Dio, ed è così che dovremmo imparare a trattarci e a trattare il prossimo. Allora quando la vita ci riserva delle croci, esse non accadono per punirci ma per ricordarci che anche se perdiamo tutto c’è qualcosa che non potremmo mai perdere: il fatto di essere amati così. E quando uno è amato non ha più paura di perdere, perché sa che nessun avversità, nessun dolore, nessun male potranno mai togliergli quell’essenziale su cui si poggia la vita e che neppure la morte può mettere in discussione. Infatti l’amore è più grande della morte. La Pasqua è più grande di ogni Venerdì Santo.
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Dal Vangelo secondo Luca Lc 6,27-38 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gl’ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso . Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio”. Commento di don Luigi Maria Epicoco: Ma come è possibile arrivare ad amare i propri nemici o a porgere l’altra guancia? Dove prendere le parole per pregare per quelli che ci fanno soffrire o lasciare tutto a quelli che tentano di toglierci l’intero mantello? Questa lunga e intensa pagina del Vangelo sembra domandarci l’impossibile e in verità è infatti impossibile metterla in pratica. Ma allora perché Gesù ci chiede una cosa impossibile? Perché Dio ha la capacità di realizzare l’impossibile. Infatti una simile pagina del Vangelo la si riesce a vivere solo per grazia di Dio e non per sforzo nostro. E in che cosa consiste questa grazia? Nell’esperienza di sentirci talmente tanto amati da Lui da riuscire a compiere ciò che normalmente non riusciamo in nessun modo a fare. Il segreto non è nello sforzo ma nel lasciarsi riempire dall’amore di Dio, dalla Sua grazia. Non a caso quando l’angelo Gabriele va da Maria a chiederle di dire di si a una consa impossibile, egli dice a questa giovane fanciulla di Nazareth: Gioisci, piena di Grazia! Maria è piena dell’amore di Dio e per questo può compiere l’impossibile. Oggi si festeggia proprio il Santissimo Nome di Maria, e credo che questo Nome faccia tremare l’inferno perché è il Nome di Colei che più di ogni altra creatura si è lasciata amare da Dio senza metterne nessun limite.
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Dal Vangelo secondo Luca Lc 6,12-19 In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto Zelota; Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore. Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti. Commento di don Luigi Maria Epicoco: Se rallentiamo il racconto del vangelo di oggi, rimaniamo colpiti da una serie di dettagli che potrebbero fare la differenza nella nostra vita. Il primo è la preghiera di Gesù: “Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione”. Quasi mai ci accorgiamo che il segreto di Gesù è nella sua preghiera. Se vogliamo cambiare la nostra vita non dobbiamo concentrarci sulle circostanze e sui condizionamenti in cui siamo immersi, bensì sulla nostra preghiera. Chi impara a pregare ha una vita diversa, ha una vita salva. È la preghiera ciò che potrebbe cambiare le nostre famiglie, il nostro matrimonio, la nostra consacrazione, la nostra malattia, il nostro lavoro. Il vangelo ci mostra Gesù che prega tutta la notte per far nascere dentro di noi questo grande desiderio di imparare a pregare. Il secondo dettaglio è nella scelta che Egli fa: “Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli”. Il cristiano non è mai frutto del caso, ma è frutto di una scelta precisa di Gesù. difenderci da questo dicendo “sono cristiano solo perché sono nato in un paese cristiano” significa confondere l’educazione cristiana con la fede cristiana. Infatti si è cristiani non solo perché lo si è culturalmente, ma soprattutto perché a un certo punto della vita si incontra misteriosamente e personalmente Gesù. E’ una scelta Sua. Il terzo dettaglio viene dall’incontro che Gesù ha con la folla che viene ad ascoltarlo: “erano venuti per ascoltarlo ed esser guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti immondi, venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanava tutti”. Ascoltare Gesù non è mai senza conseguenze. La conseguenza più importante è una guarigione che non riguarda solo i corpi, ma anche la parte psicologica e quella spirituale delle persone. C’è una forza in Gesù che travalica la semplice esperienza intellettuale. È una forza che sana e non solo che spiega.
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Dal Vangelo secondo Marco Mc 7,31-37 In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!». Commento di don Luigi Maria Epicoco: "𝐺𝑢𝑎𝑟𝑑𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑞𝑢𝑖𝑛𝑑𝑖 𝑣𝑒𝑟𝑠𝑜 𝑖𝑙 𝑐𝑖𝑒𝑙𝑜, 𝑒𝑚𝑖𝑠𝑒 𝑢𝑛 𝑠𝑜𝑠𝑝𝑖𝑟𝑜 𝑒 𝑔𝑙𝑖 𝑑𝑖𝑠𝑠𝑒: «𝐸𝑓𝑓𝑎𝑡𝑎̀», 𝑐𝑖𝑜𝑒̀: «𝐴𝑝𝑟𝑖𝑡𝑖!». 𝐸 𝑠𝑢𝑏𝑖𝑡𝑜 𝑔𝑙𝑖 𝑠𝑖 𝑎𝑝𝑟𝑖𝑟𝑜𝑛𝑜 𝑔𝑙𝑖 𝑜𝑟𝑒𝑐𝑐ℎ𝑖, 𝑠𝑖 𝑠𝑐𝑖𝑜𝑙𝑠𝑒 𝑖𝑙 𝑛𝑜𝑑𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑠𝑢𝑎 𝑙𝑖𝑛𝑔𝑢𝑎 𝑒 𝑝𝑎𝑟𝑙𝑎𝑣𝑎 𝑐𝑜𝑟𝑟𝑒𝑡𝑡𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒". Sappiamo quanto la vita possa chiuderci fino al punto da farci perdere il contatto con la stessa realtà. Si può soffrire fino a non vedere e sentire più nessuno. Si può concentrarsi tanto sulla propria carriera fino a diventare ciechi. Ci si può sentire così tremendamente soli pur vivendo con altre persone e tutto ciò solo per il fatto che non si riesce più a comunicare. Come allo stesso tempo si può avvertire che la vita non ha nessun senso solo per il fatto che non si riesce più ad avere un rapporto con Dio. L'incontro con Gesù è l'incontro con ciò che riapre le vie chiuse dalla vita. Il suo "Effata" riapre la nostra capacità di relazionarci con noi stessi, con gli altri e con Dio. Perchè senza queste tre relazioni la vita è come morta per noi. Credere è aprirsi, è il contrario di chiudersi. Dio spalanca la vita, non la restringe. La fede è un valore aggiunto, non una privazione. E' il male che vuole convincerci del contrario e per questo ci tiene lontano da tutto ciò che potrebbe tirarci fuori dall'isolamento in cui, in un modo o in un altro, ci ha costretti a vivere.
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Dal Vangelo secondo Luca Lc 6,1-5 Un sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli coglievano e mangiavano le spighe, sfregandole con le mani. Alcuni farisei dissero: «Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito?». Gesù rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Come entrò nella casa di Dio, prese i pani dell’offerta, ne mangiò e ne diede ai suoi compagni, sebbene non sia lecito mangiarli se non ai soli sacerdoti?». E diceva loro: «Il Figlio dell’uomo è signore del sabato». Commento di don Luigi Maria Epicoco: «Perché fate ciò che non è permesso di sabato?». Il problema è quasi sempre lo stesso: Gesù è percepito come uno che rompe lo schema. Eppure tutti abbiamo bisogno di uno schema, di una regola, di un metodo, di un percorso preciso. Perché dunque Gesù sembra costantemente destabilizzarci attraverso la messa in discussione delle regole? Forse vuole abolirle? Assolutamente no. Egli è preoccupato di non far coincidere la fede con le regole. La fede è sempre più grande delle regole, come l’amore di una madre per il figlio è più grande della buona abitudine a lavarsi le mani prima di sedere a tavola. Se l’amore di una madre si riducesse solo a ricordare al figlio di lavarsi le mani che amore sarebbe? Come potrebbe quel figlio avere la vita cambiata da un amore così? E non è forse il rischio della religione quando essa diventa solo memoria delle regole? Quindi essere cristiani significa avere l’umiltà di darsi delle regole e allo stesso avere la semplicità di cuore per ricordarsi che la vita è sempre più grande, e proprio per questo si deve essere capaci di eccezioni. Esse infatti non contraddicono la regola ma la confermano perché la umanizzano. Oggi domandiamoci: abbiamo una regola di vita? Quanto siamo umani nel viverla?
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